Per chi cerca di ragionare con la testa, e non con il tratto terminale dell’intestino, ormai dovrebbe essere chiaro: l’obiettivo di Putin è quello di rendere invivibile l’Ucraina e di terrorizzare la sua popolazione, fiaccandone la capacità di resistenza e facendo (letteralmente) terra bruciata intorno a Zelensky. Non sembra però che questa realtà scalfisca le certezze dei nostri pacifisti irriducibili, di coloro che vogliono la pace a ogni costo e con ogni mezzo, foss’anche la resa a un autocrate che si fa beffe del diritto internazionale. In questo senso, si distinguono i nostri intellettuali “neoerasmiani”, quelli cioè secondo i quali “la pace più ingiusta è preferibile alla guerra più giusta” (Erasmo da Rotterdam, “Querela pacis”, 1517). Per Kant, invece, autore di uno dei più celebrati saggi sulla pace, il valore supremo che una ben ordinata convivenza di individui dovrebbe realizzare non è la pace, che o è giusta o non è, ma la libertà. In altri termini, “la pace non può essere il cimitero della libertà”.
Gli intellettuali “neoerasmiani”, poi, sono neutralisti, ovvero se anche non non sono ostili (ma solo alcuni) all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, escludono tassativamente una sua futura adesione alla Nato. Il playmaker di questa posizione è Michele Santoro, che nelle sue alluvionali comparsate televisive ci ricorda spesso l’impegno assunto, anche se solo verbale, dagli Stati Uniti nei confronti della Russia di Gorbaciov dopo la caduta del Muro e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia.
Il nostro campione della pace a prescindere, come direbbe Totò, si riferisce al discorso del segretario di Stato americano James Baker, tenuto durante un incontro con l’ultimo segretario del Pcus nel febbraio 1990. Esso è all’origine del mito della “promessa tradita” dall’Alleanza Atlantica nei confronti della Russia, pilastro polemico del Cremlino nei confronti delle potenze occidentali. È stato usato, infatti, dal presidente russo come pretesto per giustificare l’invasione della Georgia nel 2008, della Crimea nel 2014 e del Donbass otto anni dopo.
Solo che Santoro, e con lui quanti anche in Italia condividono l’argomento della “broken promise”, dimenticano che nel Memorandum di Budapest del 1994 (sottoscritto con Usa e Regno Unito) Mosca si impegnò a rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina, nonché ad astenersi dall’uso della forza nei suoi confronti, in virtù del trasferimento del suo arsenale nucleare in Russia. Piaccia o meno il principio “pacta sunt servanda”, quindi, non si dovrebbe negare il peso diverso che hanno un accordo formale e un’intesa verbale tra le grandi potenze. Come recita un noto aforisma di Leo Longanesi: “Non bisogna appoggiarsi troppo ai princìpi, perché poi si piegano”.
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Gli italici pacifi(nti)sti a senso unico puzzano peggio del pesce avariato. Il loro fetore anticipa il cadavere su cui vorrebbero ballare, la Libertà di un popolo sovrano che combatte per la propria Libertà. E poco importa se si tratta di Israele o dell’Ukraina, la loro è una libertà negabile a priori in quanto ostacolo di “amici di merende” da cui magari ottengono prebende